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Estratto dal verbale della seduta di Lunedì 28 Settembre 2009 ore 15,00
Paragrafo n. 13

Conferimento della cittadinanza onoraria a Pierluigi Dovis
Interventi

ORATORE Oratore
Autorità, Signori e Signore, benvenuti alla cerimonia per il conferimento della
Cittadinanza Onoraria a Pierluigi Dovis, Direttore della Caritas Diocesana a Torino,
unico laico a ricoprire un ruolo direzionale nella Curia torinese.
Sono presenti il Gonfalone della Città di Torino, decorato di medaglia d'oro al valor
militare, il Gonfalone della Provincia di Torino, decorato di medaglia d'oro al valor
civile e il Gonfalone della Regione Piemonte, accolti dall'Inno nazionale.
La parola al Presidente del Consiglio Comunale Giuseppe Castronovo.

CASTRONOVO Giuseppe (Presidente)
Autorità, Signor Sindaco, Dottor Dovis, tutti quanti voi, grazie per essere qui con
noi.
Sin dal 1563, quando assunse il ruolo di capitale del Ducato Sabaudo, Torino ha
vissuto importanti e profonde trasformazioni che ne hanno rinnovato il ruolo, la
fisionomia e la struttura.
Il periodo più significativo in questo contesto fu quello della Rivoluzione Industriale
che, se da un lato creò circostanze favorevoli alla crescita della nostra Città, dall'altro
evidenziò ed innescò gravi problemi sociali.
Schemi e modelli della realtà urbana e rurale, rimasti validi e sostanzialmente
immutati per secoli, furono scalzati da un'economia che accentrava nella città la
produzione, richiamando un numero piuttosto consistente di manodopera maschile,
femminile e addirittura infantile. Segnali emblematici di una rivoluzione che non si
limitava all'ambito industriale, ma che modificava profondamente l'assetto
antropologico della città, ma non sempre in positivo.
La cronaca del tempo riporta una presenza considerevole di persone in situazioni di
disagio e povertà, con condizioni di vita gravi e a volte inaccettabili, quando non
fatali, quando si combinavano con epidemie che, favorite ed accelerate dalle
condizioni igieniche spesso assolutamente insufficienti, decimavano la popolazione.
A cercare possibili soluzioni a questa situazione, fino al secolo scorso, furono molto
spesso associazioni private, opere di carità, le prime società operaie di mutuo
soccorso, fondazioni, aziende, confraternite religiose o anche singoli, che si fecero
carico delle necessità della popolazione, offrendo quei sostegni che ora sono ritenuti
primari ed essenziali: dalle cure alla ricerca di un ricovero dignitoso, dall'educazione
all'istruzione, dall'affermazione dei diritti dei lavoratori alla difesa di quelli
dell'infanzia.
Torino ebbe la fortuna di avere i Santi sociali, che espletarono a beneficio della città
le loro preziose opere di carità: Don Bosco, il Cottolengo, Cafasso, Giulia di Barolo,
Faa di Bruno, Don Murialdo, il Canonico Allamano, per citare i più importanti; a
questi si aggiunsero anche le grandi Organizzazioni Sindacali, capaci di promuovere
lo sviluppo sociale dei lavoratori e delle classi meno abbienti.
L'ultimo profondo cambiamento economico e sociale che vide Torino protagonista
fu la favorevole condizione occupazionale che il settore auto offrì, in particolare tra
l'inizio degli anni Cinquanta fino alla fine degli anni Settanta.
La popolazione aumentò in modo considerevole e proporzionalmente aumentò anche
la necessità di servizi pubblici. Ma siamo già nel dopoguerra, sono ormai le
istituzioni democratiche a farsi carico dei bisogni dei cittadini: mai sole però, sempre
supportate e stimolate e affiancate da strutture private, religiose, laiche, dalle stesse
aziende, come nel caso della FIAT, e sempre dalle Organizzazioni Sindacali. Una
collaborazione preziosa, a volte indispensabile, quando è riuscita e riesce a
raggiungere anche situazioni che sfuggono alla rete dei nostri servizi sociali.
Certamente il Presidente Pierluigi Dovis potrebbe portarci ad esempio molti di questi
casi, persone aiutate dalla Caritas di Torino, che hanno riconquistato speranza, forza,
fiducia in se stessi e negli altri, persone che altrimenti si sarebbero probabilmente
perse, annegate nel vortice dell'usura, della malattia, dell'abbandono, della
solitudine, dell'illegalità.
Il conferimento di questa cittadinanza onoraria vuole essere il ringraziamento del
Consiglio Comunale rivolto a lei, Dottor Dovis, e ai suoi preziosi collaboratori che,
insieme a lei, operano nella Caritas.
Con il vostro impegno dimostrate che gli stranieri, i malati, le persone che vivono
situazioni di disagio non sono altri, distanti da noi e per questo da ignorare o
rifuggire: sono invece persone, fratelli da amare ed aiutare.
Le motivazioni e le ideologie che spingono alla solidarietà possono essere diverse,
così come molti e diversi sono gli ambiti nei quali la solidarietà può essere espressa,
ma questa è la dimostrazione del fatto che la solidarietà non ha bandiere, non ha
religione, non ha connotazione politica. È una forza che nasce quando la coscienza
viene scossa, è una forma di rispetto propria dell'uomo, interna all'animo umano, ci
permette di comprendere il valore di ciascuno, ma ci impegna anche nel riconoscere
a ciascuno la propria dignità e il diritto di provare a costruire la propria felicità.
Dobbiamo continuare ad avere fiducia nell'uomo, anche se negli eventi della storia
l'uomo ha dimostrato di essere capace di crudeltà efferate, razionali, quasi
scientifiche; ma sappiamo anche che è capace di gesti di altruismo, di fratellanza, di
generosità che superano qualsiasi aspettativa, anche se molto spesso sono silenziosi e
nascosti: si dice che fa più rumore un albero che cade in una foresta che cresce.
Lei, Dottor Dovis, con i suoi collaboratori della Caritas, è parte di quella foresta che
cresce e si ingrandisce grazie alla generosità di tutti.
Grazie.

ORATORE Oratore
La parola al Consigliere Comunale Andrea Giorgis.

GIORGIS Andrea
Signor Sindaco, Autorità, Concittadini, Pierluigi Dovis.
Circa un anno fa, il Consiglio Comunale decise all'unanimità di conferire a Lei la
cittadinanza onoraria.
Delle ragioni che hanno spinto il Consiglio Comunale a compiere questa scelta, dirò
fra poco; prima, tengo a sottolineare come il Consiglio Comunale sia stato sollecitato
e chiamato, da più parti, a compiere questo atto, che credo che sia davvero l'atto di
un Consiglio Comunale che rappresenta l'intera Città.
Questa cittadinanza onoraria è una cittadinanza onoraria che il Consiglio e le
Istituzioni che rappresentano la Città possono dire di conferire in nome di tutti i
cittadini di Torino.
Come ho detto, molti ci hanno evidenziato, ci hanno fatto partecipi, ci hanno
segnalato qual era stato e qual era il suo impegno e quali caratteristiche aveva e ha
questo impegno.
Sarebbe difficile ricordare tutti coloro che hanno condiviso con noi questa scelta;
voglio ricordare, però, un Consigliere Comunale (che adesso non è più tale) che si è
molto battuto in questa direzione: Bruno Ferragatta che, con insistenza e tenacia,
volle il conferimento. Vedo seduti molti esponenti politici locali, vedo il Presidente
del Consiglio Regionale, vedo Autorità (non posso certo citare tutti): devo dire che,
quando portammo all'attenzione del Consiglio questo atto, ci fu davvero una
condivisione che non vide tentennamenti. Questo significa qualcosa: non è pura
retorica, non è un fatto scontato, perché è normale che anche il conferimento della
cittadinanza onoraria, come tutti gli atti del Consiglio Comunale, abbia una valenza
politica, esprima un comune sentire o un sentire di parte.
In questo caso, il sentire è davvero un sentire comune.
Come si potrebbe sintetizzare questo sentire comune? Qual è il profilo, tra i tanti, che
si potrebbero ricordare, del suo impegno, che ha convinto tutti noi in questa scelta?
Vorrei sintetizzarlo in questo modo: il male della disuguaglianza, il male
dell'emarginazione, il male dell'esclusione è un male profondo che molte società -
quasi tutte - hanno conosciuto e che conoscono. Anche la nostra società è una società
nella quale, purtroppo, l'emarginazione, l'esclusione, la disuguaglianza sono davanti
agli occhi di tutti noi.
Il tentativo di contrastare la disuguaglianza, l'impegno per superare le ingiustizie più
macroscopiche è un impegno che ha caratterizzato l'esistenza di molte persone e
molte istituzioni. È impossibile, in poco tempo, fare una disamina di quanti hanno
dedicato la loro vita a porre rimedio alle forme più odiose di ingiustizia, di quanti
hanno cercato di contrastare l'esclusione e l'emarginazione. Tuttavia, se facessimo
questa disamina, scopriremmo che abbiamo ciclicamente oscillato tra un dilemma
difficilmente risolvibile, il dilemma su quale sia il modo più efficace, il modo più
utile per contrastare la disuguaglianza, su che cosa si può fare, su che cosa ciascuno
di noi possa fare per combattere l'ingiustizia. Questo dilemma è ben rappresentato in
un passo che mi è venuto in mente, quando ho iniziato a riflettere su cosa avrei
potuto dire in questa occasione: è un passo apparentemente lontano dal problema, ma
in realtà, secondo me, molto vicino. È tratto da "L'uomo senza qualità" di Robert
Musil: naturalmente, significa che l'uomo che si sta interrogando è uomo ricco di
qualità. Che cosa si chiede il protagonista di questo romanzo? Si domanda se evitare
il male e fare il bene individualmente, invece di adoperarsi per l'ordine comune,
costituisca, in un certo senso, un affrettato pareggio con la coscienza, a spese della
cosa in sé. È una domanda terribile, che immagino lei si sarà posto in più di
un'occasione; perché la gratificazione e la sensazione, a volte, per chi si occupa della
cosa in sé, da un lato è di non essere abbastanza vicino alla vera sofferenza che si
consuma quotidianamente e, dall'altro, per chi tutti i giorni è a contatto con la
sofferenza quotidiana, la sensazione di muoversi con un cucchiaino per asciugare
l'oceano. Credo che siano due sensazioni altrettanto vere.
Ecco allora che arrivo a quello che a me sembra uno dei motivi, che a me e a tutti noi
è sembrato uno dei motivi che meritano di essere sottolineati e che vogliono essere
all'origine della scelta di questo Consiglio Comunale: la capacità e l'ostinazione che
lei ha dimostrato nel mettere insieme l'impegno concreto, nel mettere insieme la
pulsione che ciascun essere umano può, se posto in un determinato contesto,
coltivare verso il proprio consimile, nel mettere insieme questa disponibilità, che è il
mondo del volontariato che le associazioni religiose hanno, nei secoli, sempre
praticato e coltivato, con l'impegno delle istituzioni. L'impegno delle Istituzioni, per
intervenire in maniera talvolta più astratta, talvolta più lontana, con la
consapevolezza che queste due forme di intervento devono viaggiare in maniera
complementare e che, insomma, bisogna far sì, come lei ci ha insegnato con
l'esempio, che nessuna energia che è volta a contrastare la disuguaglianza e
l'ingiustizia, venga sprecata, che nessuna disponibilità, sia essa una disponibilità che
si consuma nell'arena politica, sia essa una disponibilità che si consuma nel mondo
delle associazioni, sia essa una disponibilità che si consuma individualmente.
Tutte queste disponibilità debbono essere messe in rete, debbono essere messe a
sistema: bisogna che ciascuna cresca l'altra, in modo da contrastare, nella maniera
davvero, forse, più efficace e più concreta, quella che è - continuo ad usare questa
espressione - la grande ingiustizia che troviamo di fronte a noi, quando un nostro
consimile si trova escluso dall'accesso a quell'insieme di beni spirituali e materiali
che rendono possibile una vita davvero libera e dignitosa.
Questo mi sembra un insegnamento che la sua dedizione all'impegno politico -
"politico" in senso lato, per la Polis - e all'impegno civile per i cittadini ci insegna.
Io, per questo, la ringrazio, l'intero Consiglio Comunale la ringrazia, e la
cittadinanza onoraria è davvero, nel suo significato originario, un modo per
considerare questo impegno e questa ostinazione, nel far sì che tutti i diversi possibili
modi, attraverso i quali le energie possono essere convogliate verso l'emancipazione
e l'uguaglianza, siano davvero resi efficaci.
Mi fermo qui e la ringrazio ancora.

ORATORE Oratore
La parola al Sindaco di Torino Sergio Chiamparino.

SINDACO
Autorità. Signore e signori, caro Pierluigi.
Per me è un grande piacere conferire insieme al Presidente questa cittadinanza
onoraria a nome del Consiglio Comunale.
Anch'io voglio sottolineare subito quello che sia Giuseppe Castronovo sia Andrea
Giorgis hanno già ricordato, cioè il fatto che si tratta di un conferimento unanime (si
può dire che è scontato, ma non è così).
L'unanimità di un Consiglio Comunale come il Consiglio Comunale di Torino
significa una cosa sola che voglio sottolineare, cioè che davvero è un conferimento
fatto da tutta la Città di Torino, nessuna sua componente esclusa.
Posso aggiungere una cosa, che si coglieva bene anche nelle parole dei due oratori
che mi hanno preceduto: è un conferimento fatto da tutta la Città di Torino - se mi è
permesso dirlo - anche nello spirito con cui si è fatto. In questo caso, ci sono i
numeri, ma c'è anche lo spirito che ha informato i numeri che hanno portato a dare
un voto unanime.
È un riconoscimento, prima di tutto, ad una persona impegnata, com'è già stato detto,
fin da giovane (non voglio ora ricostruirne la storia), in una battaglia contro la grande
ingiustizia che appare in forme diverse (l'emarginazione, gli ultimi). Già questo, di
per sé, sarebbe più che sufficiente per motivare il riconoscimento.
Mi permetto di dire, senza andare fuori dal seminato, che credo che questo sia anche
il riconoscimento, attraverso la persona di Pierluigi Dovis, ad un'importantissima
organizzazione. Ovviamente, le organizzazioni e le persone vivono insieme: non c'è
mai un'organizzazione che funziona, se non c'è qualcuno che la sa guidare o se non
ci sono persone che ne ispirano il modo di lavorare e viceversa: nessuno di noi, da
solo, potrebbe fare quello che fa.
Voglio sottolineare questo aspetto, perché l'organizzazione della Caritas Diocesana è
un'organizzazione che, per noi (ed ora il mio discorso va un po' oltre a quello che è
il ristretto campo del conferimento di una cittadinanza onoraria), è un'organizzazione
(come altre), senza la quale non sarebbe nemmeno possibile immaginare e pensare
quello che, invece, abbiamo pensato e stiamo cercando di fare, cioè un cambiamento
abbastanza radicale nella concezione e nella pratica delle politiche sociali locali.
Si passa da quello che era, è stato ed è ancora uno stato sociale amministrativo,
imperniato su un'Amministrazione che, come si dice, è meglio di niente, da
un'Amministrazione che concepisce ed eroga le politiche sociali ad
un'Amministrazione che riconosce i bisogni, interviene dove non vi è altra
possibilità di intervenire direttamente, ma cerca di favorire e di investire sulla
relazionalità, cerca di applicare concretamente il principio di sussidiarietà, cerca cioè
di creare le condizioni affinché, a cominciare dal cittadino singolo e dalle
organizzazioni a lui vicine, si possano costruire politiche che rispondano ai bisogni.
Dico questo, perché so che Pierluigi Dovis, in un'intervista di qualche tempo fa, pur
riconoscendo (cosa di cui gli sono grato) lo sforzo fatto dall'Amministrazione
Comunale in questo campo (sono qui presenti l'Assessore Borgione e molti
esponenti di Giunta), sostiene che ci sia ancora molto da fare. Credo che ci sia molto
da fare soprattutto in questo campo, nel campo degli investimenti, dello sviluppo e
della costruzione di politiche sociali che investano sempre più nella capacità che il
cittadino può avere di provvedere da solo ai suoi bisogni. Se il cittadino ha bisogno
di un piccolo aiuto, si crea la condizione per un piccolo aiuto; se ha bisogno di un
grande aiuto, si cerca di creare la condizione per un grande aiuto; se ha bisogno
integralmente di essere aiutato, solo a quel punto l'Amministrazione se ne fa carico
integralmente.
È possibile realizzare questo, soltanto se ci sono organizzazioni pronte a collocarsi in
questo continuum che ho cercato sommariamente di descrivere: dall'associazione di
volontariato che può aiutare ad assistere l'anziano a casa, l'anziano autosufficiente
che ha bisogno di un minimo di relazionalità per fare le cose elementari, fino
all'associazione che, invece, è in grado di farsi carico di bisogni più importanti e
quindi svolgere una funzione di semiassistenza completa, e così via.
Lo dico perché, giustamente, sempre in quell'intervista, si poneva un obiettivo da
perseguire prima della fine di questa tornata amministrativa: il raggiungimento
dell'approvazione del Piano Regolatore Sociale (obiettivo che ci siamo posti ormai
quasi due anni fa). Il Piano Regolatore Sociale è questo, non è un'altra cosa:
costruire un impianto che permetta di governare insieme a tutte le associazioni ed
organizzazioni che vogliono essere protagoniste del cambiamento delle politiche
sociali, di governare insieme mediante un documento di indirizzi che definisca
obiettivi, strategie, risorse disponibili e compiti di ognuno di noi.
Credo che non ci sia occasione migliore di questa per assumere solennemente
l'impegno: noi faremo il possibile (sono convinto che ci riusciremo, e penso di
poterlo dire anche a nome del Consiglio Comunale) per portare formalmente il
documento in Consiglio prima che si esaurisca questa tornata amministrativa, ma -
cosa ancor più importante - credo che, ben prima di allora, riusciremo a cominciare a
farne vivere delle parti concrete, anche perché alcune già vivono. Se penso, tanto per
restare all'attualità, alla vicenda, recentemente affrontata, degli oltre 400 profughi
(colgo l'occasione per ringraziare, qui, il Generale Franco Cravarezza per il sostegno
concreto che ci ha dato, mettendo a disposizione un'intera ala dello stabile della
Caserma di Via Asti, e tutte le altre associazioni che hanno contribuito), che
rappresenta uno di quei casi di emergenza dove il meccanismo che ho prima
ricordato ha funzionato bene.
Mi premeva ricordare questo aspetto, perché è vero che il conferimento della
cittadinanza onoraria è un momento di riconoscimento formale, ma, proprio per
questo, credo dia maggior valore all'assunzione di un impegno politico.
L'ultima riflessione che voglio fare è questa: stiamo parlando del riconoscimento ad
un uomo impegnato a favore degli ultimi e ad un'organizzazione che è sempre più
snodo di un modo nuovo di dare risposte agli ultimi.
Come tutti sanno, Pierluigi Dovis è un cattolico impegnato nel sociale. È anche vero
- come ha detto bene il Presidente Castronovo - che c'è una storia torinese
importante (dato che molte persone qui presenti potrebbero insegnarla a me, io la
ricordo soltanto, citando ad esempio i Santi sociali), c'è una connotazione storica di
un modo di essere del cattolicesimo a Torino. Ma non è soltanto questo aspetto che
voglio richiamare.
Voglio anche richiamare un'altra questione: il valore della religiosità nel pubblico,
che ritengo un punto di dibattito molto attuale, moderno e che guarda al futuro. Il
valore della religiosità (non a caso uso questo termine, che comprende il mondo
cattolico, ma che non si esaurisce in esso) non è confinabile alla sfera privata degli
individui. Credo che Pierluigi Dovis ci dica anche questo. Credo, quindi, che questa
non comprimibilità, questa non confinabilità della religiosità cristiana e cattolica alla
sfera privata è quella che permette, poi, quell'impegno, quel ruolo, quei risultati che
la Città ha voluto giustamente riconoscere.
Credo che questi due elementi (che connotano il riconoscimento della cittadinanza
onoraria a Pierluigi Dovis), cioè l'impegno personale di un'organizzazione a favore
degli ultimi e il valore della religiosità nel sociale, siano due ingredienti -
permettetemi un'espressione un po' rozza, ma spero utile - fondamentali per una
comunità che voglia vincere la sfida del futuro.
La cittadinanza onoraria a Pierluigi Dovis è una cittadinanza onoraria che ci parla di
modernità e ci parla di futuro.
Grazie.

ORATORE Oratore
Il Sindaco Sergio Chiamparino e il Presidente del Consiglio Comunale Giuseppe
Castronovo consegnano ora la Cittadinanza Onoraria a Pierluigi Dovis.
La parola al Direttore della Caritas Diocesana di Torino Pierluigi Dovis.

DOVIS Pierluigi
Vi rubo qualche minuto di pazienza per qualche breve riflessione che mi scaturisce
dalle cose dette e da questo momento particolarmente importante per la mia persona.
"Civis taurinensem sum": lo dico con una reale commozione, pensando a cosa
significhi Torino per la nostra Città, per la nostra storia collettiva, per il contributo
che i torinesi hanno dato e danno alla costruzione della società, delle chiese e della
storia.
L'emozione nasce anche guardando alle grandi figure che, prima di me, hanno
ricevuto il medesimo alto riconoscimento: da uomini di scienza del calibro di Rita
Levi-Montalcini e del professor Dulbecco, a scrittori come Mario Soldati, a leader
spirituali come Chiara Lubich e il Dalai Lama.
Oggi, attraverso questa Assemblea istituzionale, l'ho sentito proprio sul serio: Torino
intera guarda ed accoglie la mia persona con lo sguardo di benevolenza che si riserva
ad un alleato.
Così mi sono sentito, in questi dieci anni come Direttore della Caritas Diocesana e
nei precedenti nove che ho passato nel servizio di retrovia, sempre dentro alla Chiesa
e alla Curia Torinese. Già quando frequentavo la scuola superiore qui a Torino, mi
ero abituato a vedere questa città dal basso, dalla storia della gente umile ed ordinaria
che stava preparando la storia che stiamo vivendo noi oggi, ogni giorno. Passato poi
un decennio di esperienze fatte in varie parti d'Italia e d'Europa e tornato a
frequentare più assiduamente la Mole, questo sguardo non solo è continuato, ma mi
pare di poter dire che è andato approfondendosi: cosa che ritengo un dono che mi è
stato fatto dall'alto, una vera chiamata da parte di quel Dio che mi ha chiesto di stare
continuamente in mezzo agli altri come colui che serve, semplicemente come colui
che serve.
Oggi sono qui anche per avere accettato la sfida di lasciarmi istruire dai più piccoli,
da coloro che fanno fatica e che sono ai margini della società.
È questa la prospettiva che porto con me e che cerco di offrire nei miei interventi in
giro per il mondo o sui mass media: non per sottolineare sterilmente le ombre,
facendole diventare dei nuvoloni che oscurano le luci di questa città "Always on the
move", come veniva riferito qualche anno fa, ma per richiamare a tutti quel dovere di
giustizia che non ci lascia tranquilli, non ci lascia in pace, pensando di aver già
raggiunto il massimo di quanto potevamo e dovevamo fare, nell'attenzione ai più
marginali e nell'attenzione agli ultimi della società "numquam satis" : non è mai
fatto a sufficienza.
Personalmente non condivido lo stile improduttivo di coloro che sanno solo citare il
detto "mala tempora currunt", rischiando di non accorgersi dei barlumi di luce che
danno speranza. Parimenti non condivido i messaggi superficiali che accendono
fallaci speranze destituite di contenuti ed indicano cammini ingannevoli.
La nostra città sta affrontando, oggi, un tempo di doveroso cambiamento
complessivo, un tempo in cui non siamo più come prima e non siamo ancora come
poi, e nel già e non ancora tutto è più complesso, tutto è meno disponibile al
discernimento, tutto è più fragile. Ne sono certo: proprio così, larga parte dei torinesi
- seppure in modo diverso - si sta percependo oggi fragile e vulnerabile.
Personalmente ritengo che tutto questo non sia solo una negatività, quanto soprattutto
una sfida carica di futuro, un evento pedagogico per farci crescere nel cambiamento.
Non è per la morte, ma per la vita.
La fragilità delle persone è insieme debolezza e preziosità, e come tale va aiutata e
curata. Sappiamo bene tutti che, in questa città, convivono situazioni di vulnerabilità
tra loro diverse e complementari, che investono non più soltanto quegli strati di
popolazione che quasi tradizionalmente vivevano al di sotto della soglia, ma anche
chi, fino a pochi mesi addietro, si sentiva ed era sufficientemente tutelato.
Una situazione polimorfa che è ancora difficile da decifrare, da individuare, da
gestire e da governare. Una situazione che si intreccia con elementi che vengono da
lontano, come la crisi economica, ma anche con il cammino di riorientamento che la
città sta compiendo da diversi anni.
In questa Sala Rossa, ritengo debba avvenire la regia dell'intero processo, perché
questo è il luogo del discernimento e dell'assunzione di responsabilità nella
costruzione del bene comune. La storia (e non la teoria) ci chiede di lavorare contro
la frantumazione e la scissione in competenze tra loro poco comunicanti.
La strada per evitare questa scissione potrebbe coagularsi intorno al concetto di
"benessere": non un benessere economicisticamente inteso, né salutisticamente
considerato, ma l'essere bene, l'essere secondo il bene della persona, che non può
mai venir messa da parte o sacrificata sull'altare di altri interessi, seppur legittimi.
Un benessere che tale è solo se è comune di tutti, per tutti e con tutti, solo se sostiene
i diritti profondi della persona senza far prevaricare i diritti soggettivi a quelli della
comunità intera. Non si cresce mettendo l'uno contro l'altro, ma solo lavorando
insieme: non significa che a tutti debba venir riconosciuto l'eguale, perché nessuno
di noi è uguale all'altro. Anzi, significa proprio riconoscere un "di più" e un
"meglio" a chi fa più fatica, a chi è nelle ultime posizioni della classifica, in modo
che tutti sappiano farsi carico degli altri. Qui sta la responsabilità di una vera
cittadinanza che, a mio modo di vedere, è l'unica frontiera di futuro per ciascuno di
noi.
Oggi stiamo costruendo la Torino di domani: abbiamo una responsabilità tremenda
ed entusiasmante. Ma, per carità, non costruiamola nella contrapposizione, né tra
pubblico e privato, né tra stranieri ed italiani, né tra ricchi e poveri, né tra sociale e
culturale, né tra centrale e periferico, né tra solidaristico ed economico.
L'esito di questa scommessa affidata a noi oggi lo si vedrà tra un decennio.
Per questo motivo, con semplicità e profondissima riconoscenza per quanto la Città
ha messo in campo per la propria crescita in tanti anni, mi sento, questa sera, di
indirizzare a tutti voi un forte invito a non dimenticare. Non dimentichiamo di
onorare e di salvaguardare la dignità delle persone, qualsiasi esse siano, che significa
fare in modo che esse siano accompagnate a diventare il principale artefice delle
proprie scelte, senza cedere a tentazioni da un lato buoniste e dall'altro di un
rigorismo moralistico. Ogni cittadino costretto ad offuscare la propria dignità per
sopravvivere è una sconfitta amara per tutti noi, soprattutto se si tratta di giovani.
Non dimentichiamo il ruolo della famiglia e troviamo finalmente il coraggio, per
quanto ci è possibile, di non lasciarla da sola, scaricando sulle sue spalle pesi gravosi
in tema di assistenza e carico sociale, soprattutto in riferimento a minori, anziani,
persone diversamente abili. Alle spalle di tanti fallimenti nella storia delle persone,
anche qui a Torino, c'è il crollo della relazione familiare: lavorare in suo favore è un
investimento prezioso. Vi prego, crediamoci.
Non dimentichiamo la sofferenza che sta sotto ad ogni fallimento e ad ogni fragilità.
Non accontentiamoci dei numeri e delle statistiche per stare tranquilli. Non
ripariamoci dietro ai regolamenti, solo per evitare di mettere in gioco la fantasia della
responsabilità.
Ogni azione, ogni deliberazione, ogni iniziativa deve arrivare il più possibile al cuore
dell'altro: questo è ciò che costituisce lo stile della città accogliente, delle sue
strutture flessibili, delle sue azioni calibrate, non standardizzate. Se un'eccellenza va
perseguita è certamente quella dell'efficacia, che si nutre anche di efficienza senza
confondersi con essa.
Non dimentichiamo, poi, la preziosità della vita dei territori e dei quartieri che
compongono la nostra città. È lì che pulsa la vita quotidiana, con le sue
contraddizioni e debolezze, ma anche con le potenzialità relazionali ed umane che
possono dare qualità alla vita di tutta la collettività. In essi c'è da sempre una forte
richiesta di protagonismo e di responsabilizzazione: non lasciamola cadere nel vuoto,
ma cogliamo il bene che è rappresentato dai quartieri.
Non dimentichiamo, poi, di condurre un'autentica osservazione di cuore rispetto ai
cambiamenti della quotidianità delle persone, cambiamenti che richiedono un
primato dell'ascolto delle voci flebili e dei messaggi appena abbozzati. Mi riferisco,
in particolar modo, alle povertà degli inclusi, che si stanno imponendo con
sofferenza di molti, legate quasi sempre a questioni lavorative che ci impongono
un'attenzione progettuale, strutturale e non solo riparativa.
Penso alle rinnovate forme di dipendenza da sostanze e da gioco, che sempre più
colpiscono in sordina, con un effetto ritardato, giovani ed anziani.
Vado con la memoria alle condizioni di sovraesposizione debitoria, spesso dovuta ad
incauta capacità gestionale del ménage familiare, condito dallo stressante e
falsificante chiacchiericcio pubblicitario.
Mi riferisco alla fragilità della condizione abitativa, che coinvolge troppe famiglie, a
fronte di molti alloggi ancora sfitti e ad un'edilizia popolare non da tutti trattata con
l'attenzione dovuta.
Penso alle marginalità evitate o solamente evocate nei loro drammatici esiti, e fonte
di paure: ad esempio, il reietto popolo dei Rom, le persone senza dimora, gli
stigmatizzati disabili psichici, l'invisibile ma reale gruppo dei non cittadini,
provenienti da diverse parti del mondo ed accampati in più di una zona della nostra
città.
Guardo anche alla penalizzazione sociale e psicologica delle sofferenze in rosa, di
donne abbandonate o violentate in casa propria o sulle strade, o di madri rimaste sole
ad affrontare il compito genitoriale e il lavoro per il sostentamento.
Mi riferisco, infine, al variegato e obliato mondo del carcere, verso il quale è urgente
e necessario costruire ponti e legami per fare nuovamente di esso un'occasione di
redenzione e non solo di contenimento.
Nell'affrontare questa scommessa, personalmente non mi sono tirato indietro né mi
tirerò indietro per il futuro. Istituzioni e società, chiese e persone di retta coscienza
mi avranno al loro fianco: non sono interessato né a colori, né a bandiere. Mi basta il
Vangelo di Gesù Cristo e il riferimento alla Costituzione Italiana. Ma sono davvero
interessato al dialogo fraterno con tutti, parti politiche e sociali, mondo della cultura
e dell'istruzione, dell'economia e della produzione, gruppi spontanei e realtà
storicamente cariche di esperienza. Solo chiedo che siano cultori della legalità e della
giustizia, della verità e dell'amore che, per me, assume la veste della carità, e con me
- ne sono sicuro - il grande mondo del no profit torinese, in particolare del
volontariato e degli enti ecclesiali (cattolici e ortodossi, provenienti dalla riforma e
dalla forte tradizione valdese e dei fratelli di fede ebraica). Sono certo che non si
possa più procedere parallelamente, ma solo in sincera collaborazione, a condizione
però che, a questo mondo sociale, si lasci svolgere il proprio ruolo specifico.
Noi siamo chiamati, per vocazione e costituzione, certo a collaborare all'offerta dei
beni di giustizia, ma soprattutto a concentrarci nel dono dei beni di fraternità. Questo
ci compete, questo desideriamo fare, questo possiamo fare, senza alcun
subordinazionismo, senza estraneismo, ma anche senza sincretismo.
La sussidiarietà è un bene da preservare e da far crescere; richiede, da parte di tutti i
soggetti in gioco, capacità di abbandonare ogni forma di buonismo, ogni facile
relativismo ed ogni chiusura aprioristica e direi ideologica. Altrimenti, al bene delle
persone che si debbono aiutare, subentra la ricerca della nostra personale posizione e
prestigio, istituzionale o volontaristico che sia. Se ritengo di avere la forza e la
determinazione per non tirarmi indietro per il futuro, è grazie all'aiuto concreto di
tante persone.
E allora, concludendo, permettetemi di rivolgere il mio pensiero colmo di gratitudine
anzitutto a chi mi ha preceduto nella direzione di Caritas e che mi è stato maestro -
qui presente - e a tutti i collaboratori che, in questi anni, mi hanno fortemente
sostenuto, permettendomi di fare quanto ho fatto. A loro si aggiungono i molti
operatori dei servizi di carità e delle varie istituzioni che mi onorano della loro
collaborazione, del loro apprezzamento e del loro affetto.
Non posso dimenticare gli attori dell'informazione locale, con i quali abbiamo
imparato ad interloquire, per cercare di offrire comunicazioni efficaci e soprattutto
veritiere alla nostra città. Il sostegno di quanti lavorano nella Curia Arcivescovile mi
è prezioso esempio e la grande stima che mi manifesta il Cardinale Arcivescovo mi
aiuta nella concretezza delle azioni quotidiane.
Sono presenti oggi anche alcune persone guidate dal nostro Sindaco, che vengono dal
Comune dove risiedo (anche se sarebbe meglio dire: "Dove dormo"). Li assicuro che
questa nuova cittadinanza non significherà l'abbandono di Cumiana, ma l'occasione
per manifestare la forza dei cumianesi, secondo il motto che c'è sullo stemma del
nostro Comune ("Non vi sed virtute domatur": un cavallo senza briglie non si doma
con la forza, ma con la fermezza).
Il valore dell'impegno è un dono che ho ricevuto dalla mia famiglia, presente in
massa questa sera, dal cammino formativo fatto con i Salesiani di Don Bosco, ma, in
particolare, dalle due persone che, più di tutte, hanno un posto di onore nel mio
cuore: papà Vittorino e mamma Cesarina, oggi affacciati dalla finestra del cielo.
Dal primo, impegnato nell'Amministrazione Comunale per decenni, ho imparato la
passione per il bene comune; da mamma, la passione per il servizio all'uomo e alla
comunità. Sarebbero riconoscenti a questa Città per l'onore che concede alla mia
persona, così come lo sono io in questo momento.
Signor Presidente, signor Sindaco, signori Consiglieri, Autorità, amici: un sentito
ringraziamento per aver voluto guardare alla mia persona per dare alla nostra Città un
segnale di grande attenzione verso le fatiche e le gioie della gente comune e dei più
poveri in particolare. Per ogni limite che ho manifestato o manifesterò in futuro,
prego il mio Signore con le parole di Agostino: "E tu, che non lasci mai incomplete
le cose che inizi, completa quelle che ho lasciato io imperfette".
Dio benedica Torino e la nostra comune responsabilità la sappia conservare.
(Applausi)

CASTRONOVO Giuseppe (Presidente)
Signor Sindaco, Autorità, la cerimonia finisce qui. Avremo un piccolo rinfresco
fuori. Vi invito solo a rimanere ancora un attimo in piedi per salutare i Gonfaloni che
lasciano la Sala. Grazie a tutti e arrivederci.
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