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ARTESIO Eleonora Grazie. Quale che sia il futuro del voto di questo atto deliberativo sul quale si rileva la determinazione della Giunta e la disponibilità di parte della Maggioranza a sostenere tale determinazione e sul quale si rileverà anche la convinzione di una parte delle Minoranze, magari perché vi vedono riflessa quella che ritenevano una lungimiranza di programmazione precedente e riferibile alla Giunta precedente, io credo, ed è la nota di ottimismo che vorrei portare in questa discussione, che la questione per la Città sarà ancora lunga e impegnativa e che è possibile che molte delle argomentazioni che i sostenitori della delibera qui apportano, potranno essere ribaltate esattamente da una ripresa di quella partecipazione popolare che aveva indotto molti di noi a ritenere che Cavallerizza potesse essere per Torino, un esempio importante di restituzione di Beni comuni all’uso comune della collettività. Perché l’esperienza dell’Assemblea 14.45 e del dibattito che da lì si era sviluppato è da ricondurre nel solco di una tradizione di movimenti, ma anche di ricerca scientifica tesa a contrastare quello che è un processo in atto da anni nella nostra Città, cioè quello di trasferire beni dello Stato dal Demanio ai Comuni, ma senza vincolare questo trasferimento anche comprensibile rispetto a criteri di identità, di appartenenza, di comune desiderio di valorizzazione, senza vincolarli però all'uso pubblico e all'impossibilità di trasferimento di proprietà o di vendita. Questo discorso di come sono avvenuti questi trasferimenti dai Demani ai Comuni sta impegnando esperti di area amministrativa, procedurale e giuridica nella possibilità di avanzare ricorsi rispetto alle procedure originarie. Io credo che Cavallerizza potrebbe essere un esercizio significativo relativamente a coloro che stanno conducendo non solo in questa città, ma in molte altre, questo stesso tipo di battaglie. Così come leggo gli annunci, penso che non mancheranno le volontà e le capacità di procedere, laddove la delibera venisse approvata nella predisposizione di un movimento partecipativo per un referendum abrogativo. Quindi voglio confidare che non si stia scrivendo oggi, dal punto di vista amministrativo, la pagina conclusiva o come a qualcuno piace pensare la decisione e la responsabilità di chi governa, ma si stia invece ricostruendo un vero percorso partecipativo per coagulare tutti coloro che pensano che Cavallerizza non debba essere pensata come un palazzo e come la proprietà di un palazzo, ma come un pezzo di città in forma di palazzi, così come ricorda il professor Lupo nell’ultima sua produzione storico e letteraria rispetto a questo bene, e che proprio per questa ragione, essendo un pezzo di città, un pezzo della storia, ci si debba rapportare come al corpo della città e non semplicemente come a una parte di essa. Soprattutto devo dire mi piacerebbe vedere valorizzato questo aspetto quando, a fronte delle discussioni avvenute in Commissione consiliare dove a gran voce taluni richiedevano di procedere nella decartolarizzazione, l'Assessore Iaria rispondeva che non si tratta soltanto, ed è già severo il problema, di un fatto finanziario ed economico, ma che per rientrare nella proprietà, anziché in controtendenza al trasferimento a CCT si sarebbe anche dovuto dimostrare che la Città aveva bisogno di quel luogo pubblico per funzioni pubbliche non reperibile altrimenti, come se si trattasse di scambiare un immobile con un altro. Siamo ben oltre, parlando, come tutti hanno ricordato, di un complesso monumentale bene UNESCO patrimonio dell'umanità e quindi sono fiduciosa che, al di là dei Consiglieri che non parteciperanno a quest’operazione e io non vi parteciperò, potrà esserci invece un movimento culturale che riprenderà i fondamentali che erano alla base dell'esperienza della prima chiamiamola occupazione e su questo voglio concludere. Perché la modalità con la quale noi stiamo discutendo, oltre ad essere profondamente riduzionista, anche dal punto di vista giuridico e amministrativo, come ho cercato di spiegare, oltre che essere preoccupante rispetto alle vocazioni e alle destinazioni che qui sono anche state ricordate, ha un elemento dal mio punto di vista particolarmente inquietante rispetto al modo con il quale si interpreta tutta quella cultura, tutta quella impostazione giuridica relativa ai Beni Comuni. Non è un caso che tutti no, quelli che hanno più seguito questo processo hanno parlato di Assemblea 14.45, l'Assessore anche nell'ultimo suo video trasmesso via Facebook ha parlato di occupazione artistica. L'occupazione artistica risolve in due parole il procedimento secondo il quale vengono concessi alcuni spazi, agli ultimi esponenti della fase dell'occupazione che erano pervenuti ad intrattenere dei rapporti con la civica Amministrazione, dopo lo sgombero di cui si è parlato dovuto agli eventi del rogo, e che però ritrasforma quella che era un’operazione di carattere culturale e partecipativo generale, un luogo di produzione di conoscenza e di redistribuzione di conoscenza nel possibile, apprezzabile esercizio di attività artistiche da parte di un gruppo riconosciuto dall’Amministrazione nell'ambito dell’uso civico. Ma il Regolamento dei Beni Comuni per come era immaginato nelle sue origini non significa individuare alcuni soggetti, ovviamente e io non discuto nel merito, animati dalle migliori intenzioni e probabilmente capaci di proporre alla Città come i referenti dell’uso collettivo, perché altrimenti si rischia di trasformare quello che era un elemento partecipativo per la restituzione a una funzione comune, di trasformarlo nell’uso, per quanto apprezzabile, di una sola parte. E allora, poiché gli alberi si vedono dai frutti, tutti possiamo vedere come si sia trasformata quella esperienza che muoveva moltissime leve, che ha fatto molte attività di produzione, che ha prodotto luoghi di incontro, si sia trasformato appunto nel riconoscimento dell'uso artistico da parte di alcuni, il gruppo che appunto ha visto costruire elementi di cooperazione sulla base del Regolamento della Città di Torino. Quindi da questo punto di vista io vedo che moltissime delle vocazioni originarie, delle intenzioni originarie oggi sono tradotte in una logica profondamente riduzionista, ma non è soltanto la riduzione, è anche la trasformazione dei valori di riferimento, così come spero di aver cercato di spiegare. Ora, poiché non credo di essere l'unica a ravvisare queste tracce e queste questioni, sono anche fiduciosa del fatto che fuori di noi, fuori dell'assemblea che deve votare questo atto deliberativo e che probabilmente lo voterà certamente senza la mia partecipazione, potranno invece svilupparsi forme di resistenza e di controtendenza che, usando almeno canali che io qui ho voluto ricordare, possano riaprire nella Città quel dibattito pubblico che lo aveva così tanto allenato cinque anni fa. Ho finito. |