Interventi |
CARLEVARIS Cinzia Sì, grazie Presidente. Lo presento io, ma in realtà questo è un atto di iniziativa della Commissione Pari Opportunità, in base all’art. 36 del Regolamento del Consiglio comunale, per cui il testo è stato redatto collettivamente in Commissione dalla Commissione Pari Opportunità e V Commissione. È una mozione che impegna Sindaca e Giunta, appunto, a prevedere nell’ambito del costituendo Sistema Integrato dei Servizi per l’Infanzia della città, quindi zero-sei, una formazione continua e di qualità sui temi della pedagogia di genere per tutti i soggetti che opereranno a stretto contatto con i bambini e le bambine della città. Quindi, si riferisce a tutti i soggetti gestori che opereranno all’interno del nuovo sistema di governance. Il secondo punto dell’impegna prevede, nell’ambito del rapporto di corresponsabilità educativa, di individuare e promuovere pratiche educative utili, per contrastare gli stereotipi di genere, volte a sensibilizzare, laddove possibile, anche le famiglie, quindi per cercare laddove possibile di coinvolgere anche le famiglie in questo percorso. Qual è la ratio di questo atto? Diciamo che, nell’ambito delle Pari Opportunità, nonostante a livello formale la parità uomo-donna sia sancita ormai da decenni a livello normativo, a partire dalla Costituzione Italiana, gli atti fondativi dell’Unione Europea, dichiarazioni universali diritti dell’uomo e della donna, però nei fatti persiste nella società un evidente Gap di genere. Nell’ultimo Global Gender Gap Report del 2020, quello che ogni anno redige il World Economic Forum, l’Italia si colloca al settantaseiesimo posto su 153 Paesi come divario di genere, per dire, siamo dietro al Botswana, dietro al Kazakistan, dietro alla Tanzania. Per cui, anche il legislatore, negli ultimi dieci anni, ha individuato la scuola come ambito centrale su cui investire, proprio perché il divario di genere non è formale, è sostanziale, culturale, e quindi il legislatore ha individuato proprio la scuola non solo come luogo di riproduzione culturale, ma anche come un luogo di costruzione attiva di cultura, quindi di una formazione che emancipa. Questo a partire fin dal 2011, come è richiamato in narrativa, con un protocollo del Ministero Pari Opportunità, insieme al Ministero dell’Istruzione, proprio un protocollo che titolava: “Promozione della cultura di genere nel mondo dell’istruzione”. Dopodiché, sono seguiti due decreti nel 2013, il decreto 93, (incomprensibile) straordinaria contro la violenza sessuale di genere che promuoveva proprio la formazione del personale scolastico, riconoscendo il ruolo centrale nel tema dell’educazione della scuola e stabiliva come obiettivo prioritario proprio quello di educare alla parità e al rispetto, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale. Un altro decreto, il 104/2013, anche qui misure (incomprensibile) istruzione, individuava, proprio, la formazione obbligatoria degli educatori e delle educatrici, insomma, del corpo docente con particolare riferimento, proprio, all’educazione all’affettività, al rispetto della diversità e pari opportunità di genere. A livello legislativo abbiamo la Legge 107 del 2015, la riforma nel sistema nazionale di istruzione, quella che è giornalisticamente nota come la: “Buona scuola”, nella quale era stata inserita una disposizione normativa in tema di educazione alla parità tra i sessi, nello specifico, all’art. 1, al comma 16, indica: “Attuali principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi e la prevenzione alla violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Si tratta di una norma di compromesso che tenta di adeguare l’ordinamento italiano agli obblighi internazionali, in particolare all’art. 14 della Convenzione di Istanbul, che più estesamente prevederebbe per i Paesi aderenti che mettessero in campo le azioni necessarie, leggo: “Per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne, basata sul genere e il diritto all’integrità personale appropriati al livello cognitivo degli allievi”. Con questa mozione, noi andiamo ad intervenire sulle scuole di competenza diretta della Città, quindi il comparto zero-sei, che in realtà è un comparto fondamentale, perché i bambini di quell’età..., cioè è proprio in quell’età che si fanno un’idea di come gira il mondo, no? Ed è anche l’età in cui viene fatto più uso di stereotipi, proprio per l’essenza stessa dello stereotipo come concetto semplificatore della realtà. Per cui, insomma, ormai gli studi hanno dimostrato che, tra i 3 e i 4 anni, i bambini e le bambine hanno già imparato ad elaborare contenuti forniti dagli adulti ed evitare, di conseguenza le attività del genere opposto. Gli stereotipi di genere quindi contribuiscono, diciamo, a produrre delle gabbie, no, entro le quali circoscrivere le possibilità di espressione dei singoli, perché lo sguardo dell’adulto, nei confronti del bambino, diventa prescrittivo. Questa mozione, appunto, intende fornire, alle educatrici e agli educatori, gli strumenti offerti dalla pedagogia di genere per..., insomma, saper adottare linguaggi plurali, acquisire quegli strumenti pedagogico-didattici idonei a promuovere, diciamo, una corretta socializzazione di genere, la formazione di una cultura della differenza e, soprattutto, saper riconoscere e decostruire quegli stereotipi che, inconsapevolmente, spesso trasmettiamo ai bambini, ecco, a costruire, diciamo, attivamente quel rinnovamento culturale atteso, partendo proprio dall’infanzia. Ho finito, grazie. |